Vibrazioni da altrove. Un’inchiesta sulla musica dei migranti in Italia, in Armando Gnisci (a cura di), Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città aperta, Troina 2006, pp. 519-37.
Da sempre la musica registra e conserva le tracce dei flussi migratori che attraversano la terra: le uniche vere novità in una cultura come quella occidentale, per troppo tempo rinchiusa su se stessa. Nella sapiente ricostruzione di Paul Gilroy, l’attuale disseminazione globale della musica nera si rivela come il pordotto della ciroclazione intercontinentale di migranti, merci, idee, immagini e oggetti artistici iniziata con la schiavitù. Le navi che per secoli hanno attraversato l’Atlantico nero – trasportando dapprima gli schiavi incatenati nelle stive, poi marinai e viaggiatori –, oltre che concreti luoghi di sfruttamento, sono state fondamentali veicoli di circolazione e formazione di una controcultura costitutivamente transnazionale e diasporica. Il risultato della tensione tra rapporti di dominio e pratiche di rivolta è un insieme di movimenti di dislocazione, spiazzamento e ibridazione, che si manifestano sul piano delle espressioni letterarie, politiche e musicali. Espressioni che non sono più di esclusiva proprietà dei neri, perché non sono riconducibili alle singole fonti (Africa, Americhe, caraibi, Europa), né a una supposta essenzialità etnica. In un mondo globalizzato, il paesaggio sonoro dei grandi centri cosmopoliti si colora oggi di generi come la salsa, il raï, il reggae e la cosiddetta world music, che contribuiscono alla conoscenza reciproca tra le diverse culture. Paradossalmente, nei contesti urbani multiculturali, le musiche diasporiche finiscono spesso per alimentare il senso di appartenenza e di identità delle comunità dislocate […]