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Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano

questa recensione è stata pubblicata in «pagine», Trimestrale di poesia internazionale, Anno XVI, numero 49, novembre-dicembre 2006, p. 45

Mia Lecomte (a cura di), Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano – Le Lettere, 2006.

La mia poesia è come la mia vita fino a oggi, mobile, e può essere penetrata da qualsiasi altra lingua, afferma Barbara Serdakowski, nata in Polonia, emigrata in Canada e poi in Italia. Per Ubax Cristina Ali Farah, scrivere in italiano, conciliando una lingua solamente letta con le sonorità del somalo, è stato un riappropriar­mi di tutto ciò che nella realtà non poteva coesistere. L’olandese Arnold de Vos, che vive a Trento, si sente come un pesce che vive in acque territoriali non sue. Barbara Pumhosel cammina cercando la strada di casa e allo stesso tempo sperando di smarrirsi per sempre: a volte ha la sensazione di essere seduta tra due sedie – ­in bilico tra il dialetto delle prealpi austriache, il tedesco e l’italiano – ma la sua continua ricerca di equilibrio e simmetrie si accompagna ad un’avversione fisica per le frontiere, le dogane, i visti. Il poeta che non ha cittadinanza, è un ospite del mondo, spiega Gezim Hajdari, esiliato dall’Albania (una terra che, come Medea, impie­tosa mente / divora i proprifigli) e oggi cittadino onorario della città di Frosinone. Egidio Molinas Leiva, lo scrit­tore profugo paraguayano recentemente scomparso, ci insegna che chi ha paura della cultura altrui è quello che non ne ha una propria. L’esperienza della migrazione rappresenta una crescita e un cambiamento, in cui le parole hanno la stessa potenza delle note musicali: per quanto poche siano puoi comporre un’irifinità di melodie, con un’infinità di vibrazioni, afferma Mihai Mircea Butcovan, assiduamente impegnato nell’attività di «Osservatore Romeno». Anche lo scrittore brasiliano Julio Monteiro Martins usa una metafora musicale per descrivere la sua essenza stereofonica, dimezzata: dopo aver suonato a lungo la poesia soltanto all’interno della propria anima (come un’orchestra chiusa in cas­saforte), è riuscito a fare propri gli strumenti della nuova lingua, trovando la propria voce all’interno della sintonia del secolo.

Sono solo alcuni degli autori e delle autrici incluse nell’antologia curata da Mia Lecomte per l’editore Le Lettere: Ai corifini del verso raccoglie le opere di venti poeti provenienti da diversi Paesi del mondo. Ciò che li accomuna è la scelta della lingua italiana come stru­mento espressivo, ma ognuno rivela un diverso atteg­giamento rispetto alla funzione della letteratura nella costruzione dell’identità culturale: il tradimento delle radici come fattore di integrazione, la deformazione linguistica come volontà di infrangere la norma codifi­cata, la ricerca di una nuova patria e una nuova citta­dinanza nella lingua italiana. Il volume si apre con l’introduzione di Mia Lecomte, che sottolinea la com­plessità di questo nuovo «movimento» letterario, sug­gerendo percorsi di lettura e ipotesi critiche, nella direzione di un confronto proficuo tra scrittori migran­ti e autoctoni: che sia capace di liberare la lingua poe­tica italiana dall’autoreferenzialità di una certa avan­guardia ormai in retroguardia, e che si dispieghi all’interno della dimensione comune di una parola sempre più bastarda e condivisa. Seguono le sezioni dedicate ai singoli autori, in cui i versi antologizzati sono introdotti da una scheda bio-bibliografica e da una dichiarazione di poetica. La novità di quest’anto­logia, rispetto alle altre pubblicate finora, è da indivi­duare non solo nello spessore poetico dei versi selezio­nati, ma soprattutto nell’accuratezza dell’apparato cri­tico e nella lucidità d’analisi di Mia Lecomte, che in questi anni ha svolto un lavoro pionieristico, contri­buendo a far conoscere la poesia della migrazione ita­lofona fin dai suoi incerti esordi: dalla collana Cittadini della poesia di Zone Editrice, alla recente antologia A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy, di prossima uscita negli Stati Uniti. Solo oggi, sostiene Mia Lecomte, è possibile delineare una prima mappa­tura di una produzione poetica che – rispetto a quella narrativa – ha stentato a trovare una propria voce. Gli autori antologizzati sono capaci fmalmente di arricchi­re la letteratura italiana contemporanea di nuove sonorità (la musicalità della lingua madre ricreata nella lingua acquisita); di produrre una scrittura fortemente motivata eticamente, ricca di storie e sentimenti e linguisticamente evocativa; e di creare una lingua rivoluzionaria, seppure libera da una motivazione post­coloniale.

Nella letteratura italiana contemporanea è in corso una radicale trasformazione, sotto la spinta delle nuove sog­gettività migranti che delineano l’immagine multicultu­rale dell’Italia di oggi. Negli anni ’90 alcuni di essi harmo cominciato a scrivere poesie, racconti, romanzi e saggi in lingua italiana, contribuendo attivamente alla costruzione dell’identità nazionale: non si considerano scrittori minori, ma intellettuali che partecipano all’ela­borazione della cultura italiana. E ambiscono a un rico­noscimento ufficiale nel canone letterario italiano. La comprensione del processo di multiculturalizzazione in atto nel nostro paese non può prescindere dalla neces­sità di mettere in discussione la nozione di identità ita­liana. Una nozione tuttora controversa, molteplice e in continuo mutamento, costruita sulla base della nega­zione del contrasto insoluto tra una tendenza all’omoge­neità culturale e la presenza di forti spinte centrifughe. Del resto – come chiarisce Mia Lecomte – tutta la storia della letteratura italiana è contraddistinta dalla presen­za costante di due opposte tendenze: da un lato l’aspi­razione ad una lingua ideale, che si rinnova nei secoli fmo ad arrivare ai giorni nostri, attraverso la rinascita di correnti formaliste e neopuriste; dall’altro lato una spinta innovativa e contraria, che inaugura un nesso tra polemica linguistica e sociale: una spinta centrifuga rispetto alla norma, realizzata spesso attraverso apporti popolari e dialettali, con esiti espressionistici. L’emerge­re della letteratura migrante potrebbe coincidere allora con la prosecuzione di questa seconda tendenza – inter­pretata in passato dalle avanguardie e dalle culture subalterne – che fa dell’italiano quella lingua variegata e non monolitica che è oggi, contribuendo alla sua vitalità e al suo rinnovamento. In chiusura del volume, la post­fazione di Franca Sinopoli allarga il discorso critico alla dimensione europea, sottolineando la particolarità della letteratura italiana della migrazione: nella quale ­sostiene Sinopoli – non si riscontra nessuna autodefrni­zione basata su una comune patria di origine degli autori, né alcuna ipotetica dominanza di una compo­nente afroitaliana o postcoloniale. La globalizzazione costringe oggi i cittadini europei a confrontarsi con la presenza sul proprio territorio di una vasta popolazione di migranti, le cui voci esigono di essere ascoltate. Invece di aspirare ad una pretesa omogeneità culturale, sarebbe dunque più produttivo, per la nascente Unione Europea, puntare sul potenziale positivo di cui le diffe­renze culturali, etniche e di genere sono portatrici. Occorre spostare l’attenzione dalla questione delle diffe­renze tra le culture a quella delle differenze all’interno di una stessa cultura. Infatti – come ha scritto Rosi Braidotti – oggi non è più possibile pensare il centro e la periferia secondo un modello dualistico, perché se è in corso una mutazione in direzione di una società mul­tietnica, la trasformazione non può incidere solo sugli “altri”: deve necessariamente modificare anche le carat­teristiche di quello che in passato era il centro. Si tratta di aprire un dialogo in cui coloro che hanno sempre costituito l’oggetto passivo delle nostre rappresentazio­ni, assumano finalmente il ruolo di soggetti attivi della propria auto-rappresentazione, reclamando così la pos­sibilità di far sentire la propria voce e di raccontare la propria versione della storia. Gli “altri” – che sono già stati osservati e catalogati in secoli di resoconti di viag­gio e di ricerche etnografiche – diventino i protagonisti e le voci narranti della scrittura letteraria dei migranti. Il loro sguardo rivolto verso l’Italia e gli Italiani, che per la prima volta vengono osservati e giudicati (come nelle Traiettorie di sguardi dell’antropologa camerunese Geneviève Makaping), è quello di soggetti che resisto­no all’assimilazione e all’omologazione, in un continuo divenire e riposizionarsi che, non solo favorisce i cam­biamenti di confine di sé, ma porta alla scoperta che forse non esistono confini e non esiste nemmeno un centro.

Sonia Sabelli

 

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