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Dal margine al centro: le Traiettorie di sguardi di Geneviève Makaping

Questo intervento è stato presentato al convegno La letteratura degli Italiani. 1. Centri e periferie, XIII Congresso dell’Associazione degli Italianisti Italiani (ADI), Università degli studi di Foggia, Pugnochiuso, 16-19 settembre 2009.

Successivamente ampliato e rielaborato, è stato il punto di partenza per la stesura di un saggio  intitolato Quando la subalterna parla. Le Traiettorie di sguardi di Geneviève Makaping, pubblicato nel volume Fuori centro. Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana, a cura di Roberto Derobertis (Aracne 2010)

Dal margine al centro: le Traiettorie di sguardi di Geneviève Makaping

«La parola prima a me stessa: adesso parlo io». Con queste parole l’antropologa camerunese Geneviève Makaping apre lo spazio per un dialogo in cui coloro che hanno sempre costituito l’oggetto passivo delle nostre rappresentazioni, assumono finalmente il ruolo di soggetto attivo della propria auto-rappresentazione. Reclama così la possibilità di far sentire la propria voce e di raccontare la propria versione della storia.

Makaping vive in Italia da più di vent’anni e nel 2001 ha pubblicato un testo che è insieme saggio antropologico e diario autobiografico, dal titolo Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?.

Quando dice: «Guardo me che guarda loro che da sempre mi guardano», il suo sguardo ci costringe a porci quelle domande che la cultura occidentale ha sempre negato ed evitato. Gli “altri” sono già stati osservati e catalogati in secoli di resoconti di viaggio e di ricerche etnografiche. Le riflessioni sull’identità e sull’alterità sembrano non riguardarci mai direttamente: se ne parla riferendosi ad altri popoli o ad altre culture, senza chiedersi cosa significhi oggi essere italiani.

Anche la celebrazione postmoderna dell’ibridità continua in molti casi a riprodurre l’opposizione binaria noi/loro e a concepire la differenza secondo il modello esotico/domestico, centro/periferia: l’ibridità è sempre altrove, e il cosiddetto “terzo mondo” è oggettificato e ridotto al ruolo di significante privilegiato per la differenza. Questo paradigma etnocentrico continua a riprodurre categorie universali ed è incapace di rendere conto della realtà contemporanea, in cui la differenza e l’ibridità sono già in ogni soggetto e in ogni luogo, senza alcuna distinzione tra centro e periferia.

Invece gli scrittori e le scrittrici immigrate ci offrono lo sguardo del margine che si volge ad osservare il centro: coloro che non hanno mai avuto voce, finalmente si appropriano del potere della parola per restituirci la loro visione del mondo.

Secondo Chandra Talpade Mohanty, «solo finché “la Donna/le Donne” e “l’Oriente” verranno definiti come Altre/i, o come periferici, l’Uomo/l’Umanesimo (occidentale) potranno continuare a rappresentarsi come il centro. Non è il centro che determina la periferia, ma la periferia che, nel suo essere delimitata, determina il centro». Certe pratiche discorsive sono la manifestazione di una relazione di colonizzazione economica e culturale, in cui la rappresentazione in negativo della «differenza del terzo mondo» – della periferia – rende possibile l’auto-rappresentazione in positivo del centro. Ma, conclude Mohanty, «è tempo di andare oltre la struttura ideologica in cui Marx trovava possibile affermare: non possono rappresentarsi; devono essere rappresentati» […]

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