Quando la subalterna parla. Le Traiettorie di sguardi di Geneviève Makaping, in Roberto de Robertis (a cura di), Fuori centro. Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana, Aracne, Roma 2010, pp. 131-48
1. Voglio essere io a dire come mi chiamo
«La parola prima a me stessa: adesso parlo io». Con queste parole Geneviève Makaping apre lo spazio per un dialogo in cui coloro che hanno sempre costituito l’oggetto passivo delle rappresentazioni dell’Occidente assumono finalmente il ruolo di soggetto attivo della propria auto-rappresentazione. Reclama così la possibilità di far sentire la propria voce e di raccontare la propria versione della storia.
Makaping è nata in Camerun ma vive e lavora in Italia da più di vent’anni. Insegna antropologia culturale all’Università della Calabria, ha diretto il quotidiano «La Provincia Cosentina» e collabora con varie reti televisive locali. Nel 2001 ha pubblicato un volume che è insieme saggio antropologico e diario autobiografico, dal titolo Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?
Il testo è suddiviso in due parti: la prima, dal titolo “Voglio essere io a dire come mi chiamo”, narra la fuga di Geneviève dal Camerun insieme al fidanzato francese Marcel; l’attraversamento di diversi paesi africani per raggiungere la Francia e il successivo trasferimento in Italia; fino alla scoperta dell’antropologia e all’apertura di nuovi orizzonti su di sé e sugli altri. La seconda parte, intitolata “L’inganno della razza” e suddivisa in brevi paragrafi/episodi, sposta l’inquadratura sul presente dell’autrice, svelando l’imbarazzo di noi italiani/e quando scopriamo qual è l’immagine di “noi” che gli “altri” ci rimandano. L’autrice decostruisce così il topos degli “italiani brava gente”, che tanto ha contribuito alla negazione e alla rimozione storica dell’impresa coloniale in Africa, convincendoci di essere da sempre immuni da intolleranza, razzismo e xenofobia.
Quando Makaping dice: «Guardo me che guarda loro che da sempre mi guardano» , il suo sguardo ci costringe a porci quelle domande che la cultura occidentale ha sempre negato ed evitato. Gli “altri” sono già stati osservati e catalogati in secoli di resoconti di viaggio e di ricerche etnografiche. Le riflessioni sull’identità e sull’alterità sembrano non riguardarci mai direttamente: se ne parla sempre riferendosi ad altri popoli o ad altre culture, senza chiedersi cosa significhi oggi essere italiani. Ad esempio, pur essendo cittadina italiana dal 2000, a causa del colore della sua pelle, Makaping continua a essere percepita come una “straniera”: come se l’italianità e la nerezza fossero due attributi che automaticamente si escludono a vicenda […]