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Sugli studi di genere a scuola: tra integralismi e resistenze lgbtiq

È attualmente all’esame del Senato il decreto-legge sulla scuola (d.l. 104/2013) e già la stampa cattolica lancia l’allarme contro «il rischio di imporre i capisaldi della teoria del gender» in classe. Le paure degli integralisti cattolici si riferiscono in particolare a un emendamento che prevede esplicitamente che i 10 milioni di euro destinati alla formazione e all’aggiornamento obbligatorio del personale docente siano indirizzati, tra l’altro,

«all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119» [articolo 16, comma 1, lettera d) del testo approvato dalla Camera].

Da notare bene che la legge 119/2013 a cui si fa riferimento è la cosiddetta legge sul femminicidio, ma su questo tornerò dopo. Un’altra fonte di preoccupazione, sempre per i soliti integralisti, è l’approvazione di un ordine del giorno che impegna il governo a

«fissare tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento e nelle linee generali dei curricoli scolastici la cultura del rispetto e della consapevolezza delle identità di genere e il superamento degli stereotipi sessisti;
affinché i libri di testo in ambito scolastico rispettino le indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione POLITE» [odg 9/01574-A/008].

Polite (Pari Opportunità e libri di testo) è un codice di autoregolamentazione con cui l’associazione italiana editori si era impegnata nel 1999 a introdurre una specifica attenzione alle problematiche dell’identità di genere e alla cultura delle pari opportunità nella scelta delle opere da proporre alle scuole per l’adozione. Il testo integrale del codice, che si può leggere qui,  non è mai stato recepito come norma.

Da questi due provvedimenti deriva dunque l’inquietudine di chi crede che la scuola debba trasmettere esclusivamente un determinato modello di «famiglia naturale» (leggi eterosessuale). Ma inquietanti in realtà sono i commenti apparsi nell’articolo pubblicato ieri su «Avvenire» col titolo La teoria del gender vuole entrare in aula, proprio a proposito dell’emendamento che ha introdotto la lettera d) di cui parlavo sopra:

«Il testo originario dell’emendamento, presentato da una parte del Pd, Sel e Movimento 5 Stelle, era molto più “esplicito” e prevedeva che la formazione avesse come oggetto il “gender”, teoria secondo cui non c’è un legame biunivoco tra sessualità biologica e identità sessuale. E il riferimento al gender non era riservato soltanto alla formazione ma a tutti gli ambiti dell’educazione scolastica. Nei testi l’espressione più ricorrente era «educazione sentimentale», diventata poi «educazione all’affettività». Nell’articolato definitivo il termine “gender” è stato poi tradotto con “genere”, ma è rimasto il riferimento agli “stereotipi”.
Da queste premesse, si capisce come sia molto elevato il rischio che un professore, che in classe voglia parlare di famiglia – intesa come società naturale composta da un uomo, una donna e dai loro figli – sia “accusato” di non rispettare le diversità di genere, di riproporre degli stereotipi e quindi obbligato ad “aggiornarsi”. L’infelice vicenda della scuola paritaria di Torino, messa all’indice e accusata di omofobia per il solo fatto di aver organizzato una “scuola per genitori” sui temi della sessualità, la dice lunga a riguardo. Per come è stata ideologicamente impostata, la stessa legge contro l’omofobia, combinata con questa parte del decreto scuola, avrebbe effetti devastanti sull’educazione dei ragazzi e, di fatto, bandirebbe la famiglia “tradizionale” dalla scuola. Sarebbe persino vietato parlarne». [file pdf su zeroviolenzadonne]

Le stesse preoccupazioni risuonano in un articolo pubblicato oggi su «Famiglia cristiana» col titolo Il gender a scuola. Un decreto che allontana la famiglia tradizionale:

Questa teoria considera la persona come il “prodotto” dei modelli e dei ruoli presenti nel contesto sociale in cui vive ed è inserita. Di conseguenza, la sua identità sessuale non è legata al dato biologico ma alle dimensioni della “socialità” e della cultura di appartenenza. Ciò vuol dire che il sesso biologico non è altro che una semplice caratteristica del corpo della persona (non così determinante per il suo sviluppo), mentre l’orientamento sessuale rappresenta l’identità che il soggetto si costruisce gradualmente. In nome del genere, dunque, il sesso biologico viene separato da quello psicologico e sociale, e il “maschile” e il “femminile” appaiono solo come sterili convenzioni sociali. Ma non finisce qui. I teorici del gender invitano ad abbandonare i modelli sociali e morali che obbligano l’essere umano a essere uomo o donna per aprirsi a relazioni paritarie a prescindere dalla scelta e dall’orientamento sessuale delle persone. Tutte le coppie e tutte le famiglia sono in questo modo possibili e auspicabili.
Considerando queste premesse, il rischio di propagare nelle scuole una concezione non naturale della famiglia si rivela elevatissima, così come l’esigenza di “parificare” a tutti i costi i generi sessuali ignorando le differenze esistenti. Come se non bastasse, gli insegnanti potrebbero da ora in poi non essere più liberi di parlare della bellezza e dei valori della famiglia tradizionale (fondata su un uomo, una donna e la loro generazione), pena l’essere accusati di non rispettare l’identità di genere e di avvalorare gli stereotipi di genere. Siamo al confine del rispetto delle libertà reciproche. Occorre prenderne atto al più presto, soprattutto per evitare che questa parte del decreto scuola, combinata con la legge contro l’omofobia, inizi a scatenare effetti incontrollati sull’educazione delle nuove generazioni. La confusione sta prendendo il sopravvento e l’episodio della scuola parificata di Torino (Faà di Bruno), ritenuta colpevole di incentivare l’omofobia solo per aver organizzato una scuola per genitori sui temi della sessualità, lo conferma ampiamente.

Ora io devo premettere di non essere proprio un’assidua lettrice di «Avvenire» o «Famiglia cristiana», ma ho appreso dei due articoli citati sopra leggendo un trafiletto pubblicato oggi sul Corriere (e puntualmente segnalato nella preziosa rassegna stampa quotidiana di Zeroviolenzadonne) col titolo I timori dei vescovi per i corsi sul genere, che volendo rendere conto dei timori dei vescovi, offre una definizione della nozione di gender secondo «Avvenire» (e qui verrebbe da chiedersi: da quando il quotidiano dei vescovi è diventato un’autorità nel campo degli studi di genere?). Altrettanto imbarazzante è la smentita di Manuela Ghizzoni (parlamentare del PD e relatrice del provvedimento), riportata nello stesso trafiletto, che spiega: «Gli stereotipi di cui si parla sono quelli femminili propagandati da televisioni e pubblicità. L’articolo 16 si riferisce esplicitamente al decreto sul femminicidio, da poco convertito in legge, che volendo contrastare ma anche prevenire la violenza contro le donne, promuove la formazione dei docenti in modo da sradicare gli stereotipi di genere fin dalla scuola». Peccato che gli stereotipi di genere non riguardino soltanto le rappresentazioni della femminilità (ma ovviamente anche della maschilità, dell’eterosessualità e dell’omosessualità e – appunto – delle relazioni tra i generi). E peccato anche che in realtà la cosiddetta legge sul femminicidio non sia altro che l’ennesimo pacchetto sicurezza.

Per una riflessione più approfondita sulla polemica in corso negli ambienti cattolici intorno agli studi di genere, rimando alla puntata del 24 ottobre scorso di Profondo Rosa (Radio OndaRossa), dedicata a ricostruire «la vicenda di un convegno di integralisti cattolici contro l’autodeterminazione di donne e soggettività lgbtiq ospitato, patrocinato, sovvenzionato dal Comune di Verona; la risposta di piazza del movimento, il “controconvegno” previsto per il 9 novembre». La trasmissione si intitola Verona: resistenze lgbtiq contro integralisti e razzisti e si può ascoltare da qui. Il convegno a cui si fa riferimento nella trasmissione si svolgerà proprio a Verona il 9 novembre prossimo e si intitola “Contro natura? Lesbiche, gay, bisessuali, asessuali, trans*, intersex/dsd si interrogano sul loro posto nel creato”. Un titolo evidentemente provocatorio che credo costituisca la migliore risposta possibile ai deliri degli integralisti di cui sopra. Per il programma del convegno e per i comunicati stampa che riscostruiscono la vicenda rimando al sito del Circolo Pink di Verona.

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