Asmara–Roma, andata e ritorno. Viaggi, architetture e storie rimosse è il titolo di un incontro dedicato al legame fra Italia ed Eritrea, dal passato coloniale alle migrazioni globali, che si svolge alla Casa internazionale delle donne di Roma venerdì 9 dicembre, dalle ore 19.00, in occasione della presentazione del libro di Sabrina Marchetti, Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale (edizioni Ediesse). All’incontro partecipano: Renato Nicolini, esperto di architettura degli anni trenta, Giulia Barrera, storica del colonialismo italiano in Eritrea, Mario Garofalo, Lorenzo Ceva Valla e Lula Teklhamainot, registi e attrice protagonista del film Ainom, Chiara Ronchini, co-regista di Good morning Abissinia. Conduce Laura Massacra, giornalista e autrice televisiva. A seguire, proiezione del film Ainom (Italia, 2011, 94’) e del documentario Good morning Abissinia (Italia, 2005, 40’). Sarà presente l’autrice e verrà offerto anche un aperitivo italo-eritreo di benvenuto. Di seguito la scheda del libro e una nota biografica sull’autrice.
Il libro
Sabrina Marchetti
Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale
Collana Sessismoerazzismo, pagine 191, € 12,00Dietro ogni rapporto tra datrice e prestatrice di lavoro domestico eritrea si dipana un filo invisibile che connette il mercato del lavoro contemporaneo alla passata esperienza coloniale. È questo il risultato teorico che emerge dal libro di Sabrina Marchetti, Le ragazze di Asmara. Lo studio, basato su interviste in profondità con donne eritree arrivate a Roma negli anni sessanta e settanta, illumina con fluidità narrativa il nesso di continuità tra padrona bianca e serva nera nel passato contesto coloniale e tra donne italiane e migranti globali, oggi.
Ispirandosi al sociologo francese Pierre Bourdieu, Marchetti parla di «capitale culturale postcoloniale» come di una risorsa formatasi dapprima nel contesto coloniale e poi rifunzionalizzata dai soggetti migranti una volta giunti in Italia. Le abilità domestiche delle donne eritree, acquisite durante la giovinezza, sono le articolazioni di questo capitale culturale in cui caratteristiche di genere e di classe si combinano con la «razza». Come spiega una delle intervistate: «In Italia a quei tempi questo lavoro non era ben visto per il popolo italiano. Allora gli è stato facile di chiedere, per pochi soldi, le ragazze dall’Eritrea! “Le ragazze di Asmara sono brave, sono intelligenti, sono pulite”: questo sapevano!». Se quindi tale habitus viene messo produttivamente al lavoro nel contesto italiano, parallelamente viene utilizzato dalle domestiche migranti come risorsa di microresistenza quotidiana: il sapere e le abilità che queste donne hanno accumulato sotto l’influsso dell’eredità coloniale si converte in una narrazione utile a «sopportare le difficoltà» di un lavoro stigmatizzato come «sporco», degradante e servile. Da questo punto di vista le eritree parlano di un legame privilegiato con gli italiani, basato su una relazione di affinità; una relazione che recupera e idealizza la servitù e l’intimità domestica coloniali, dove le eritree «sono molto responsabili e fanno tutto senza dire niente». Questo è il prezzo da pagare per esser accettate nella cultura italiana, enfatizzando le somiglianze con gli italiani: «Per tanti di noi eritrei, specialmente quelli che siamo arrivati prima, per noi è la seconda patria, l’Italia. È simile il carattere tra italiani ed eritrei e quindi è come se fosse… ci sentiamo in Asmara!».
La postcolonialità emerge in questo modo nella sua ambiguità intrinseca: le autorappresentazioni delle domestiche migranti se da un lato ne hanno facilitato l’ingresso nella società degli ex colonizzatori, dall’altro le hanno relegate nei suoi strati più bassi. Le intervistate sono state profondamente segnate da questa ambivalenza, in cui essere eritree era al contempo strumento di microresistenza e ragione di subordinazione.
Più in generale Le ragazze di Asmara descrive una dialettica tra servo e padrone, deprivata tuttavia delle sue potenzialità di trasformazione. Si tratta di uno studio che apre ad ulteriori ricerche su come fattori diversi legati all’identità dei lavoratori transnazionali (postcolonialità, religione, costumi nazionali, profili sessuali) possano esser utilizzati nel comando del lavoro, ma anche, si spera, per la sua emancipazione.Sabrina Marchetti, postdottoranda all’Istituto Universitario Europeo (Fiesole, FI) si occupa di genere, migrazione e di lavoro di cura/domestico in un’ottica interdisciplinare. Ha recentemente pubblicato Paid domestic labour and postcoloniality. Narratives of Eritrean and Afro-Surinamese women (Utrecht University, 2010). Per la collana Sessismoerazzismo è suo il saggio “Essere fuori luogo in Olanda. Lavoratrici domestiche migranti fra regimi migratori e regimi di welfare”, in Isabella Peretti (a cura di) Schengenland. Immigrazione: politiche e culture in Europa (2010).