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Appello per Adama: la doppia violenza sulle donne immigrate

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Migranda pubblica un appello per Adama, una donna migrante che è detenuta nel Cie di via Mattei, a Bologna, dal 26 agosto scorso. Dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno, Adama ha chiamato i carabinieri di Forlì. La risposta delle istituzioni alla sua richiesta d’aiuto è stata la reclusione in un centro di identificazione ed espulsione: il destino riservato dallo stato italiano alle persone migranti senza documenti. Come recita l’appello – che si può leggere e sottoscrivere sul sito di Migranda – la sua storia «racconta di una doppia violenza subita come donna e come migrante».

La storia di Adama (subito ripresa da repubblica), purtroppo non è un caso isolato e la speranza è che questo appello non rimanga inascoltato, come invece era avvenuto l’anno scorso nel caso di Faith, una ragazza nigeriana che era stata rinchiusa sempre nel Cie di Bologna (triste coincidenza) nel luglio del 2010. Come denunciato da noinonsiamocomplici, quando i vicini avevano chiamato la polizia sentendo le grida d’aiuto di Faith, perché un uomo cercava di violentarla, la polizia aveva pensato bene di arrestarla perché non aveva il permesso di soggiorno. Dal Cie bolognese, nel giro di due settimane, Faith era stata prontamente deportata verso la Nigeria, da cui era fuggita dopo essere stata condannata a morte per aver reagito a un tentativo di stupro da parte di un uomo ricco e potente. Nel caso di Faith però il movimento femminista italiano non si è mobilitato in massa in suo sostegno, forse perché in quel momento sia in Italia che all’estero i riflettori erano accesi sulla storia di un’altra donna che rischiava una condanna a morte: Sakineh. Sarebbe allora utile interrogarsi sul perché delle numerose prese di parola pubbliche su Sakineh e del silenzio su Faith. La redazione di Silenzio Assordante (la trasmissione di Radio OndaRossa sui Cie) provava a farlo in un articolo pubblicato sul Quaderno 6 allegato a Scarceranda 2011:

L’unica differenza tra le due – che può forse spiegare il perché di un’attenzione così diversificata – era che Sakineh rischia la lapidazione in un paese che l’Italia considera ostile e la negazione dei diritti delle donne sarebbe una giustificazione utile a legittimare un eventuale conflitto, così come in passato si è potuta affermare la necessità di attaccare l’Afghanistan per “salvare” le donne afghane dal burqa . Mentre Faith proviene da un paese in cui l’Italia ha interessi economici tanto forti da non consentire una critica delle violazioni dei diritti umani. Basta pensare all’Eni che, per portare l’energia elettrica nelle nostre case, contribuisce a depredare le risorse della Nigeria e a impoverirne la popolazione, costringendola a emigrare in Europa alla ricerca di una vita migliore.

L’appello per Adama dovrebbe essere invece considerato una priorità per tutte le femministe impegnate contro tutte le forme di violenza maschile sulle donne: non solo contro quelle agite sulle donne bianche, italiane e di classe media, e nemmeno contro quelle agite sulle donne che possono essere considerate come “vittime” di una cultura “barbara”, semplicemente per riaffermare una nostra – in quanto femministe bianche e italiane – presunta missione civilizzatrice. Perché noi non abbiamo bisogno di assumerci il “fardello della donna bianca” e le altre non hanno bisogno di essere “salvate” da noi.  E invece forse avremmo bisogno, tutte, di interrogarci su questa contrapposizione noi/loro e sulla possibilità di costruire insieme un nuovo noi, che non riproduca nuove o vecchie gerarchie di potere né dinamiche di inclusione/esclusione.

Un aspetto interessante in questo senso è che a diffondere l’appello per Adama è una rete, Migranda, a cui partecipano donne italiane e migranti di diverse città, che si sono incontrate a Bologna nel febbraio 2011 e che si interrogano sulle questioni poste nel dibattito femminista dalle migrazioni: la necessità di mettere in discussione le strutture patriarcali sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo; la sfida di una lotta comune contro il sistema razzista e patriarcale; il desiderio di riaffermare una battaglia di libertà per tutte le donne, migranti e italiane. Per saperne di più si può leggere A proposito di Migranda (seguendo i diversi link) e sfogliare il Giornale di Migranda, che ha pubblicato il primo numero nel giugno scorso.

Tra l’altro, Migranda ha organizzato un’assemblea delle donne che si terrà a Bologna domenica prossima, nell’ambito della Festa di Compleanno del Coordinamento Migranti Bologna e provincia. L’invito si può leggere sul sito, assieme a tutte le informazioni pratiche per partecipare, mentre un loro intervento audio si può ascoltare sul blog del Martedì autogestito da femministe e lesbiche di Radio OndaRossa.

Ancora a proposito della violenza sulle donne immigrate in Italia, ricordo il dossier diffuso nel gennaio del 2010 da noinonsiamocomplici (uno slogan e un nome collettivo per un percorso di donne contro i Cie come luoghi privilegiati di violenza contro le donne), assieme al mio articolo sulla violenza contro le  detenute nelle caserme, nelle carceri e nei Cie (inizialmente pubblicato su ZeroViolenzaDonne e poi sul Quaderno 7 allegato alla nuova Scarceranda 2012). Riporto di seguito l’introduzione del dossier (purtroppo la cronologia dei casi di violenza è aggiornata al 2009, mentre sarebbe importante raccogliere e documentare cosa è avvenuto dopo, in particolare in seguito al prolungamento della reclusione nei Cie fino a diciotto mesi, in vigore dal 16 giugno scorso):

Due anni fa siamo scese in piazza a Roma in 200mila per dire che “la violenza maschile contro le donne comincia in famiglia e non ha confini” e che nessun “pacchetto sicurezza” doveva essere varato in nostro nome. Oggi il “pacchetto sicurezza” è in vigore, i respingimenti alle frontiere si sono intensificati, i Centri di permanenza temporanea (Cpt) sono stati trasformati in Centri di identificazione ed espulsione (Cie) e la detenzione lì è diventata prorogabile fino a sei mesi.
La campagna istituzionale e mediatica in sostegno al “pacchetto sicurezza” è stata costruita sull’equazione razzista clandestino=stupratore, ma la realtà è ben diversa: le profughe respinte alle frontiere e rimandate in Libia subiscono stupri e terribili violenze nei campi di concentramento libici finanziati coi soldi italiani e intanto qui, in Italia, le donne migranti quotidianamente subiscono violenze dentro e fuori i Centri di identificazione ed espulsione. Violenze che molto spesso non emergono, poichè le vittime vivono una doppia condizione di ricattabilità – in quanto donne e “irregolari” – mentre i loro aguzzini italiani godono di coperture e connivenze sociali e istituzionali.
Quando queste violenze vengono denunciate molto spesso non hanno diritto di cronaca o rimangono relegate in qualche striminzito trafiletto nelle pagine di cronaca locale dei media di regime – che, non per caso, sono anche i principali strumenti delle campagne securitarie, razziste e sessiste. Stessa sorte per gli atti di ribellione e di protesta delle donne migranti. Tali notizie, destinate all’oblio, rendono visibile una realtà ben differente dalle menzogne della retorica razzista e per questo abbiamo deciso di raccoglierne, in ordine cronologico, le principali dell’anno appena trascorso. Leggendole vi sarà chiaro come in Italia le donne immigrate vengano disumanizzate e come, nei loro confronti, si riattivino quegli stereotipi del colonialismo italiano che, nel Corno d’Africa fra il 1890 e il 1941, hanno legittimato sfruttamento domestico e sessuale, abbandono di figli “meticci” da parte dei padri italiani, stupri e deportazioni.
Una disumanizzazione che, oggi, nei Cie raggiunge il suo apice. Ricatti sessuali, molestie, violenze e stupri contro le donne sono, infatti, il “pane quotidiano” in questi universi concentrazionari – per molti aspetti assai simili ai lager – sin dalla loro creazione. Già dal 1999, infatti, con l’apertura dei primi Cpt, oggi Cie, si registrano ricatti sessuali e sopraffazioni razziste e sessiste, come dimostra uno stralcio del dossier sul Cpt milanese di via Corelli, Corelli anno zero del luglio 1999, che riportiamo qui sotto […]

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