Ancora da Femminismo a Sud – che ha avviato un vero e proprio censimento sullo stato degli studi di genere nelle università italiane – la denuncia di Anna Badino, Graziella Bonansea, Liliana Ellena, Elena Petricola sulla chiusura del corso di Storia delle donne e di genere all’università di Torino:
Riceviamo e molto volentieri condividiamo questo documento che racconta come sia avvenuta la chiusura del corsi di “Storia delle donne e di genere” attivati precedentemente nell’Università di Torino e del Piemonte Orientale. Per inviarci altre notizie sui corsi chiusi, in vita, confinati a margine, in Italia scrivete a vogliamostudidigenere@grrlz.net. Buona lettura!
Il censimento in corso promosso da Femminismo a Sud, a partire dall’episodio più recente ed eclatante della chiusura del corso di studi di genere all’Università della Calabria, ci spinge a raccontare la nostra storia. A partire dal 2007-08 e per tre anni la Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte su sollecitazione del Cirsde (Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne), ha promosso, sulla base di convenzioni con i Rettori delle Università piemontesi, quattro corsi di “Storia delle donne e di genere”, che sono stati attivati nelle Facoltà di Lettere dell’Università di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale (Vercelli), e nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università del Piemonte Orientale (Alessandria) dove abbiamo insegnato come docenti a contratto.
Poi, prima delle elezioni amministrative del 2011, la CPO è decaduta, e i risultati elettorali hanno cambiato gli equilibri politici. Cambiata amministrazione, gabbato lo santo. Da parte loro le università non hanno ritenuto di farsi carico di assicurare la continuità ai corsi in un contesto in cui il radicato sospetto sulla legittimità scientifica degli studi di genere ha potuto facilmente mimetizzarsi dietro l’argomento della restrizione delle risorse determinata dalla Riforma Gelmini. Insomma, in modo forse più eclatante di altri casi, nessuno ha dovuto rendere conto a nessuno. Nonostante i corsi avessero raccolto un grande interesse da parte di studentesse e di studenti, facendo registrare la partecipazione di circa 600 studenti, 400 esami registrati e una quindicina di tesi discusse. Abbiamo ricevuto la solidarietà di alcuni colleghi e colleghe, una collega ha introdotto queste tematiche nei suoi corsi, ma le uniche a prendere posizione in modo pubblico sono state le studentesse di AlterEva che nel maggio 2012 hanno lanciato un appello e organizzato una giornata di studi su queste tematiche. Anche in questo caso, a quanto ci risulta, nessun* ha ritenuto di dover fornire qualche risposta.
Si tratta di una vicenda che mostra la fragilità delle strategie perseguite nel tentativo di rendere accessibile all’interno dell’offerta formativa universitaria il patrimonio di sapere accumulato negli ultimi quarant’anni dagli studi delle donne e di genere. Un ambito di ricerca segnato da una consolidata tradizione interdisciplinare che ha prodotto nuovi oggetti di ricerca e paradigmi interpretativi innovativi, che sono diventati un punto di riferimento imprescindibile per tutto il dibattito teorico internazionale. Anche con le migliori intenzioni, colmare questa assenza con interventi sporadici non basta, perché si scontra con l’inerzia dell’università italiana aggravata e legittimata dall’idea che in tempi di crisi e scarsità di risorse gli studi di genere siano ‘superflui’, un lusso da tagliare senza tanti scrupoli. E’ necessaria un’azione culturale e politica ad ampio raggio in grado di porre la questione degli studi di genere come qualcosa che non riguarda ‘le donne’ ma l’intera comunità scientifica, nonché le forme di cittadinanza di questo paese.
Anna Badino, Graziella Bonansea, Liliana Ellena, Elena Petricola