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Sessualità, razza, classe e migrazioni nella costruzione dell’italianità

Il testo che segue è stato recentemente pubblicato (per la verità con alcuni tagli di cui non ero a conoscenza) nel volume curato da Fortunato M. Cacciatore, Giuliana Mocchi, Sandra Plastina, Percorsi di genere. Letteratura, Filosofia, Studi postcoloniali, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 139-156. Ho avuto l’opportunità di discuterne le prime versioni nel corso dei seminari su genere e studi postcoloniali organizzati presso l’Università della Calabria (Arcavacata, 8 novembre 2010), in occasione del convegno transnazionale Fuori e dentro le democrazie sessuali (organizzato da Facciamo Breccia e svoltosi a Roma il 28 e 29 maggio 2011) e durante la Scuola-Laboratorio di Cultura delle Donne “Archivi dei sentimenti e culture pubbliche” (Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, Duino, 26 giugno 2011). Voglio quindi ringraziare sia le persone che hanno organizzato questi dibattiti, sia coloro che vi hanno partecipato, per i commenti e i suggerimenti che ho ricevuto.

Sonia Sabelli

Sessualità, razza, classe e migrazioni nella costruzione dell’italianità

1.    Introduzione

In queste pagine metto a confronto alcune rappresentazioni della razza e della sessualità che risalgono al passato coloniale italiano, rilevandone la persistenza nella contemporaneità: si tratta di dispositivi che sono stati utilizzati storicamente per giustificare la schiavitù e la colonizzazione, mentre oggi servono a legittimare politiche xenofobe e securitarie. Come ha scritto Nicoletta Poidimani a proposito del colonialismo italiano in Eritrea, «conoscere questa parte della nostra storia è urgente soprattutto oggi, col riattivarsi, sulla pelle di donne e uomini migranti, in nome della sicurezza, di vecchi e sperimentati dispositivi razzisti e de-umanizzanti che si formarono durante i cinquant’anni dell’esperienza coloniale in Africa. Molte parole “fascistissime” dell’epoca si ripresentano oggi nel linguaggio quotidiano così come torna a riaffacciarsi sempre più prepotentemente una concezione della donna e della famiglia di stampo clerico-fascista».

Vorrei che la consapevolezza critica della mia posizione di privilegio, in quanto donna bianca e cittadina, fosse uno strumento per non essere complice delle gerarchie di potere esistenti – che tali rappresentazioni contribuiscono a perpetuare – ma soprattutto che fosse un punto di partenza per costruire relazioni e alleanze con le soggettività che resistono e si ribellano ad esse. Partire da me significa innanzitutto essere consapevole del nesso tra storia del colonialismo e costruzione dell’unità nazionale; una storia che non si è ancora conclusa, se Angelo Del Boca, commentando il recente attacco militare in Libia, ha potuto affermare: «torniamo a svolgere una funzione neocolonialista che, veramente, da storico del colonialismo italiano, non mi sarei mai aspettato».  Proprio in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dalla proclamazione dell’unità d’Italia, avremmo potuto riflettere su come le conseguenze di questa storia pesino ancora oggi sulle scelte di politica interna ed estera, oltre che sulla vita sociale e culturale del paese. Una tale riflessione critica dovrebbe partire dalla consapevolezza che, per confermare la propria superiorità, l’Occidente ha definito da sempre la propria identità in opposizione a quella dell’“altro”, considerato come l’immagine svalorizzata della norma europea, bianca, maschile ed eterosessuale: essere “diverso” da questa norma significa “valere di meno” e svalutare gli “altri” (e le “altre”) serve a definire in positivo “noi”.

 

Posted in da libri, scritti da me.

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