Skip to content


Édouard Glissant

«Lo scrittore contemporaneo, lo scrittore moderno, non è monolingue, anche se non conosce che una sola lingua, perché scrive in presenza di tutte le lingue del mondo».

«Parlo e soprattutto scrivo in presenza di tutte le lingue del mondo».

«Sappiamo di scrivere in tutte le lingue del mondo, anche se non ne conosciamo nessuna. Io, per esempio, sono impregnato, intendo poeticamente impregnato, di questa necessità, anche se ho un’enorme difficoltà a parlare una lingua al di fuori delle due che uso (il creolo e il francese)».

«Credo che ci siano due ordini di problemi. C’è il problema di quelle che si possono chiamare le lotte quotidiane: quando si è in un dato luogo bisogna adattare la propria vita quotidiana alle condizioni di questo luogo. E se la vita quotidiana richiede che ci si batta per questo e quello, se la vita di un abitante del Québec è di battersi per la conservazione della sua lingua e la vita del martinicano è di battersi per la conservazione del creolo, allora si possono utilizzare tutti i tipi di azione culurale, politica, militante, ecc. Ma penso anche che questi combattimenti culturali o politici, che abbiamo tutti vissuto e che continueremo a vivere, si inseriscono in un contesto mondiale tale che è necessario, nello stesso tempo in cui si è coinvolti in questo tipo di lotta, capovolgere il valore poetico, contribuire a cambiare la mentalità umana, abbandonare il “se non sei come me sei mio nemico e se non sei come me sono autorizzato a combatterti”:  questa è una delle funzioni del poeta, mi sembra, e non soltanto del poeta, am dell’artista che vuole contribuire a capovolgere questo ordine di cose. Non più affidarsi solo all’umanesimo, alla bontà, alla tolleranza, che sono fuggevoli, ma entrare nelle mutazioni decisive della pluralità riconosciuta come tale.  Ci vorrà molto tempo, ma nella relazione mondiale contemporanea è uno dei compiti più evidenti della letteratura, della poesia, dell’arte che devono contribuire gradualmente a fare ammettere incoscientemente alle umanità che l’altro non è il nemico, che il diverso non mi cancella, che se cambio nell’incontrarlo non significa che mi diluisco., ecc. Mi sembra che si tratti di un’altra forma di lotta rispetto alle lotte quotidiane e per queste forme di lotta l’artista è uno di coloro che si trovano in una situazione migliore; ne sono convinto. perché l’artista è colui che si avvicina all’immaginario del mondo e sa che le ideologie del mondo, le visioni del mondo, le previsioni, i piani,ì cominciano a fallire e bisogna cominciare a sostituire questo immaginario. Non si tratta più di sognare il mondo, ma di entrarci».

Édouard Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1998

 

Intervista a Intervista a Édouard Glissant
di Fabio Giaretta
Trickster – Rivista del Master in Studi Interculturali
n. 9, ottobre 2010

 

Giuliano Battiston
OGNI ATTO POETICO È CONOSCENZA DEL REALE
ADIEU Glissant

il manifesto, 4 febbraio 2011

Nato in Martinica ottantadue anni fa, è morto a Parigi Édouard Glissant, scrittore e grande teorico della creolizzazione, ossia del risultato imprevedibile dell’incontro tra culture, forme di sensibilità e di intuizione diverse: una teoria esposta con metafore fastose

«Non si emettono parole nell’aria», ha ripetuto più volte nei suoi testi Édouard Glissant, poeta, romanziere, saggista nato nel 1928 a Bézaudin di Sainte-Marie, nell’isola di Martinica, e morto ieri a Parigi all’età di ottantadue anni. Ogni immaginario poetico, infatti, proviene dal luogo «in cui viene articolata la parola», un luogo che ne condiziona non solo il modo, ma la sua stessa possibilità di espressione. Il luogo di Glissant era la «Neo-America». In Poetica del diverso (Meltemi, nuova ed. 2004), sulla scia dell’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro, Glissant distingue infatti fra «tre tipi di America: l’America dei popoli testimoni, di chi vi è sempre vissuto e che può essere chiamata Meso-America; l’America di chi è venuto dall’Europa e ha mantenuto sul nuovo continente gli usi, i costumi e anche le tradizioni del paese di origine, che può essere chiamata Euro-America… e l’America che potrebbe essere chiamata Neo-America, quella della creolizzazione, formata dai Caraibi, dal nord-est del Brasile, dalle Guyane e dal Curaçao, dal sud degli Stati Uniti e da una gran parte dell’America centrale e del Messico».

Il diritto all’opacità
E proprio alla creolizzazione della Neo-America l’autore di Poetica della relazione (Quodlibet 2007) avrebbe dedicato ogni sua energia: «Tutto ciò che ho scritto nel corso della mia vita, l’ho scritto per difendere la creolizzazione, intesa come il risultato imprevedibile dell’incontro tra culture, forme di sensibilità e di intuizione diverse», sosteneva nel 2007 in un’intervista. I microcosmi culturali e linguistici assolutamente inattesi creati nelle Americhe dallo scontro e dal consumo reciproco di elementi all’inizio del tutto eterogenei, l’irradiamento e la spiralità caratteristici del mare dei Caraibi – un «mare aperto, che diffrange», opposto al Mediterraneo «che concentra» – avrebbero infatti condizionato l’intera sua produzione: dalle poesie, molte delle quali raccolte nei Poèmes complets (Gallimard 1994), ai romanzi come La Lézarde e Il quarto secolo (Edizioni Lavoro 2003), fino ai saggi come Le Discours antillais e Traité du Tout-Monde. Soprattutto, lo avrebbero sollecitato a contestare quella concezione «sublime e mortale che i popoli dell’Europa e le culture occidentali hanno veicolato nel mondo, ovvero che ogni identità è un’identità a radice unica, escludente ogni altra». Ai ripiegamenti identitari e alla falsa universalità del pensiero occidentale, da cui derivano settarismi e intolleranze, ai vecchi demoni della purezza e dell’essenzialismo, Glissant ha saputo opporre derive e accumulazioni, ridondanze e distorsioni, frutti di un pensiero intuitivo, fragile e ambiguo. Un pensiero fondato sulla rivendicazione del diritto all’opacità, perché «non è più necessario ‘comprendere’ l’altro, cioè ridurlo al modello della mia stessa trasparenza, per vivere con lui o per costruire con lui».
Rinunciando all’idea di un ordine sovrano che riconduca una volta per tutte ogni cosa ad unità, Glissant ha elaborato – nutrendosi delle riflessioni di Felix Guattari e Gilles Deleuze in Millepiani – una sua versione della «identità rizomatica». Mentre Deleuze e Guattari «hanno utilizzato questa immagine del rizoma come radice ‘moltiplicata’, ‘proliferante’ e l’hanno opposta alla dimensione esclusiva e totalizzante della radice unica, applicando questa immagine al modo di operare del pensiero, io l’ho usata per offrire una definizione dell’identità» – ha spiegato nel corso di un nostro incontro. L’identità, per Glissant, era dunque costitutivamente una relazione, un’apertura all’altro, un luogo di scambio tra il «medesimo» e il «diverso» in cui ciò che conta è il nodo, la maniera in cui si entra in contatto con gli altri. Non, dunque, un’identità evanescente, un’abdicazione del soggetto, perché pur respingendo l’idea di una radice totalitaria Glissant ne rivendicava comunque il radicamento nel luogo, vera condizione per l’apertura al «caos-mondo», ovvero «lo choc, l’intreccio, le repulsioni, le attrazioni, le connivenze, le opposizioni, i conflitti tra le culture dei popoli, nella totalità-mondo contemporanea». Idee che trasferite sul piano compositivo si sono tradotte nella rinuncia all’unicità formale in favore della necessità barocca di inventare forme multiple e della «volontà di disfare i generi, questa divisione che è stata così utile, così fruttuosa nel caso della letteratura occidentale». Sul crinale di una nuova storica fase di passaggio, «non più dall’orale allo scritto, ma dallo scritto all’orale», questa divisione risulta infatti inadeguata, e oggi «possiamo scrivere poesie che siano saggi, saggi che siano romanzi, e romanzi che siano poesie» (come si vede, per esempio, in Sartorius, Tutto-Mondo, Edizioni lavoro 2009, vero e proprio «romanzo disintegrato», ambientato in Martinica).

In presenza di tutte le lingue
Altrettanto inadeguato risulta, com’è ovvio, l’ancoraggio al monolinguismo: ogni scrittore moderno – sosteneva Glissant – «non è monolingue, anche se non conosce che una sola lingua, perché scrive in presenza di tutte le lingue del mondo». Il suo sforzo, quindi, non deve essere quello di puntare alla linearità convenzionale della scrittura, ma di assecondare la nuova oralità vibrante e creativa, «occasione di ansia vivificatrice per il poeta», dirottando e sovvertendo il linguaggio attraverso aperture linguistiche che – diceva – gli «permettano di pensare i rapporti delle lingue tra loro, oggi, sulla terra, come il prodotto di un immenso dramma, di un’immensa tragedia cui la sua lingua non può sottrarsi».
Da qui, l’importanza crescente della traduzione, «arte della fuga da una lingua all’altra, senza che la prima si cancelli e senza che la seconda rinunci a presentarsi». Arte dello sfiorarsi e dell’avvicinarsi, e pratica esemplare del «pensiero della traccia». Quel pensiero che «suppone e comporta non il pensiero dell’essere ma la divagazione dell’esistente». Pensiero arcipelagico, non sistematico, che al teleologismo della tradizione culturale occidentale sostituisce l’impronta, fragile ma persistente, di una visione profetica del passato. E che si affida alla poesia, all’esercizio dell’immaginario per cambiare il mondo. Perché ogni atto poetico – sosteneva Édouard Glissant – «è un elemento della conoscenza del reale».

Stefano Galieni
Edouard Glissant, scrittore fantastico della decolonizzazione
Intellettuale prestigioso nato nella Martinica, fu saggista, poeta e romanziere. Aveva 82 anni

Liberazione, 5 febbraio 2011, pag. 8

Dieci anni fa, lo Stato francese compiva un gesto affatto formale e importante per milioni di uomini e donne, per la loro storia e per quella dei loro avi. Dichiarava infatti la schiavitù – che la Francia aveva avallato in tutte le proprie colonie – “Crimine contro l’umanità” e istituiva una Giornata della Memoria, il 10 di maggio, per portare a conoscenza anche fra le nuove generazioni, delle nefandezze commesse. Una vittoria postuma delle grandi battaglie anticolonialiste, degli intellettuali che avevano imposto ad un Paese intero e per certi versi ad un intero continente le ragioni degli oppressi, la loro storia e la loro infinita dignità. In Francia sin dalla fine della seconda guerra mondiale erano transitati scrittori, saggisti, politici e poeti, provenienti dai paesi dell’Africa francofona o dalla diaspora africana nei Caraibi, personaggi ormai leggendari come Frantz Fanon e Aimé Césaire. Nasceva il concetto complesso di “negritudine”, riviste come Présence Africaine e Les Lettres Nouvelles, l’anticolonialismo si confronta e si incontra con gli ambienti marxisti. Letteratura e politica viaggiano sullo stesso binario, allo scoppio della guerra d’Algeria, molti di questi intellettuali, soprattutto provenienti dalle ex colonie o dai territori ancora sotto il dominio francese firmano il Manifesto dei 121, con cui si invita a disobbedire agli ordini di Parigi. Edouard Glissant, martinicano, allievo di Césaire, spentosi l’altro ieri all’età di 82 anni, faceva parte di quella immensa generazione che ha contribuito a scardinare l’impostazione colonialista della cultura europea. Saggista, poeta, romanziere, creatore di universi, infaticabile attraversatore di mondi simbolici, spaziali e temporali, di una vitalità spiazzante e formidabile. Aveva in programma di tornare in Italia, Paese che visitava spesso e a cui si sentiva molto legato. Nel 1959 aveva partecipato al secondo congresso degli scrittori e artisti neri, che si era tenuto a Roma e spesso per tanti anni era impossibile sapere in quale angolo del pianeta fosse rintracciabile. In una delle tante università statunitensi in cui ha insegnato? Nella Francia che lo aveva accolto, cacciato, represso e poi infine celebrato troppo tardi? Nella sua Martinica che sognava indipendente e che ancora è “Territorio d’Oltremare”, e che per tanti anni è stata tappa finale della tratta degli schiavi provenienti dall’Africa?. O nel Laos, nel Maghreb, nelle Cinque Terre di cui era innamorato o nelle Eolie? In nessuno di questi luoghi e in ognuno stando alla parola chiave per leggerne il percorso non solo intellettuale: Tutto-Mondo. Un concetto che è anche il titolo della sua opera forse più completa, profetica e suggestiva, pubblicata nel 2009 per Edizioni Lavoro e tradotto magistralmente da Marie José Hoyet, grande conoscitrice della letteratura caraibica e soprattutto di Glissant. «Se ne è andato uno dei più grandi intellettuali della seconda metà del secolo – commenta tristemente la Hoyet – Un uomo che non ha parlato solo all’Africa o ai Caraibi, ma le cui idee, suggestioni, teorie, interrogano il mondo intero. Non ha avuto i riconoscimenti che meritava in Francia dove oggi ne parlano tutti i quotidiani ma fino a ieri era pressoché ignorato. Ha ricevuto apprezzamenti negli Stati Uniti, le sue riflessioni erano difficili, profonde, bisognava immergersi nelle sue parole per riuscire ad afferrarne la complessità, entrare nelle sue storie lasciandosi trascinare da un pensiero che facilmente lascia disorientati». Tutto-Mondo è un libro dalla potente capacità ipnotica, si viaggia e ci si confonde fra paesaggi ed epoche diverse, dove tutto pare toccarsi e poi scomparire. E’ il ritmo lento e ondeggiante di due navi: il Colombie che dalla Martinica compie la rotta in senso inverso rispetto alla nave negriera che secoli prima aveva portato gli avi dall’Africa. I mondi lontani che si incontrano, al di là del fattore tempo servono a Glissant, gli sono serviti in tanti anni di produzione letteraria, per affrontare con spirito originale temi come la “inarrestabile creolizzazione del linguaggio”. Guardava da lontano, profetizzava il rimescolamento dei linguaggi come quello delle persone e puntava alto quando affermava che più che a
«confondere tutto dentro tutto ci si dovrebbe sforzare, con le nostre estetiche proprie, di aprirle le une alle altre». Impossibile condensare e spiegare concetti come “il pensiero della traccia”, “il pensiero della diversità” “il pensiero dell’erranza”, concetti che non si esauriscono di per sé ma acquistano spessore e diventano capaci di decostruire e ricostruire su basi multiformi, nel loro relazionarsi. In fondo per Glissant, la relazione, il parlare fra gli uomini, i paesaggi, le storie, oltrepassando limiti e confini prestabiliti porta ad assumere una posizione affatto neutrale ma conflittuale. La storia dell’oppresso rivela la possibilità implicita di ritrasformare il mondo e non si tratta di una, peraltro impossibile, lettura ideologica. Tutto-Mondo somiglia ad un immenso edificio di cristallo, impossibile da descrivere e da riassumere perché capace di cambiare forma, luce, in cui ogni spicchio di parete riflette e modifica se stessa e quella che gli è più prossima, un labirinto onirico ma reale, capace di trasmettere dolore e rabbia, di affascinare e commuovere, di stordire e di avvolgere. Tutto cambia, tutto si muove ma tutto torna in quell’angolo di mondo che è la Martinica, “L’isola dei ritornanti” come da incipit afferma Glissant: «Da chissà quale eternità». E in Tutto-Mondo ci sono anche i ricordi italiani, da Genova:«La città di tutti gli inconsci», al Giro d’Italia in miniatura. Mathieu, uno dei viaggiatori protagonisti di quest’opera straordinaria, aveva già fatto la sua comparsa nell’altro unico romanzo pubblicato in Italia, sempre per Edizioni Lavoro, Quarto Secolo. Un testo solo apparentemente più immediato in cui Mathieu è un giovane che ascolta da Papà Longué una storia lunga quattro secoli. Quella di due lignaggi di schiavi giunti nelle Antille Francesi con la prima nave negriera, i Longuè e i Béluse. Due vicende che si separano, si incontrano si scontrano e si mescolano, quella di chi resta a lavorare nelle piantagioni e quella di chi fugge sulle montagne, inseguito, braccato ma ribelle. Una storia di riappropriazione di memoria che come tale, non segue una cronologia, cade in digressioni, in infiniti ritorni, in microstorie che sono granelli di polvere destinati a pesare nel meccanismo di una Storia ufficiale che vorrebbe questa memoria cancellata. L’avo dei Longuè, e con lui tutta la progenie, non accettarono neanche un giorno le catene, ma ci sono infiniti segreti da svelare nella storia della due famiglie, segreti che consentiranno a Mathieu (Béluse), di avvicinarsi, anche con dolore alla propria consapevolezza. Ma sono tante le opere di Glissant mai tradotte in Italia, saggistica e poesia soprattutto ma anche altri romanzi che sarebbe prezioso poter trovare in libreria. Gli unici reperibili sono Poetica della relazione (Quodlibet, 2007), Poetica del diverso (Meltemi, 1998), Il Pensiero del tremore (Scheiweller, 2008), Quando cadono i muri (Nottetempo, 2008). Resta comunque l’istituto creato nel 2007 a Parigi, L’Institut du Tout-monde, ovviamente, con una casa editrice ed un intenso programma culturale e il progetto di trasformare la Giornata della Memoria in un intero mese da dedicare ad una nuova narrazione della schiavitù e del colonialismo.

Posted in in rete.

Tagged with , .