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Valeria Ribeiro su Le dita tagliate di Paola Tabet

Su Micromega, Valeria Ribeiro Corossacz ha recensito il libro di Paola Tabet, Le dita tagliate, pubblicato nella collana sessismo&razzismo di Ediesse.

Sessualità e organizzazione sociale. Il femminismo materialista di Paola Tabet

“Le dita tagliate”, dell’antropologa Paola Tabet, offre finalmente una sintesi unitaria dell’originale lavoro di una studiosa italiana ancora poco conosciuta in Italia. Un’analisi “femminista materialista”, focalizzata sulla nozione di “scambio sessuo-economico” come norma dei rapporti sociali fra i sessi.

di Valeria Ribeiro Corossacz

La pubblicazione del volume Le dita tagliate di Paola Tabet (Ediesse, 2014, pp. 324, euro 15,00) ha due grandi pregi. Presentare in modo coordinato e unitario il lavoro di Tabet sulle relazioni sociali tra i sessi (l’altro suo campo di ricerca è il razzismo, con la pubblicazione di La pelle giusta, 1998), e colmare un grave vuoto, ovvero l’assenza di versioni in lingua italiana di due dei suoi testi più noti e importanti, Le mani, gli utensili, le armi (1979) e Fertilità naturale, riproduzione forzata (1985) pubblicati originariamente in francese.

Pur trattandosi di una studiosa italiana che ha insegnato nell’università italiana, il suo lavoro sulle relazioni sociali tra i sessi ha trovato poco spazio di circolazione sia all’interno dell’antropologia sia nei dibattiti femministi italiani negli anni in cui è stato pubblicato. Diversi gli elementi che hanno contribuito a questa invisibilità, tra cui le resistenze androcentriche interne all’antropologia e il radicamento di altre prospettive femministe.

È invece attorno al gruppo della rivista Questions féministes che trova spazio la sua analisi femminista materialista del dominio maschile sulle donne. Il termine marxiano di materialismo è ripreso e riarticolato da questa corrente del femminismo per proporre un’analisi focalizzata sui rapporti materiali tra uomini e donne e su come essi siano trasformati in rapporti di senso che intendono giustificare i rapporti di dominio in quanto naturali (sul femminismo materialista francofono si veda l’antologia introduttiva Non si nasce donna, a cura di Garbagnoli e Perilli, 2013, Alegre).

La caratteristica dell’opera di Tabet, infatti, è di iscriversi all’interno degli studi etnologici e al contempo di proporre un’analisi femminista delle ineguaglianze tra uomini e donne e di come queste siano l’esito di una pratica diffusa e diversificata, a seconda delle epoche storiche e delle società, del dominio degli uomini sulle donne. In questo modo il lavoro di Tabet non rimane circoscritto all’ambito disciplinare, in cui rappresenta una tappa fondamentale nella decostruzione dell’androcentrismo, ma usa l’antropologia come un sapere alla portata di tutti che permette di comprendere le relazioni sociali tra i sessi in cui siamo immerse.

La pubblicazione di Le dita tagliate ha dunque il merito di presentare in modo asciutto e accessibile a un pubblico non accademico le tre tappe del lavoro di Tabet: la divisione sessuale del lavoro e il ruolo che in essa ha l’uso degli strumenti, in modo generale l’accesso differenziato tra uomini e donne alla tecnologia propria di ciascuna società e i suoi effetti sulla vita delle donne; la situazione delle donne in riferimento alla riproduzione umana, definita non come attività naturale, ma come lavoro; lo scambio sessuo-economico, ovvero il continuum di relazioni sociali tra uomini e donne che implicano una transazione economica, in cui è sempre la sessualità delle donne ad essere scambiata dietro un compenso o retribuzione di varia natura (dal denaro alla rispettabilità del matrimonio).

Il libro cuce insieme questi tre momenti della dominazione maschile delle donne: il fatto che le donne siano escluse dagli uomini dalla possibilità di esercitare le stesse attività lavorative e con gli stessi strumenti è in correlazione con il loro confinamento sociale nell’attività riproduttiva, producendo la falsa sovrapposizione meccanica tra donne e capacità riproduttive e cura della prole. Tabet ci ricorda come la riproduzione negli esseri umani non è un evento esterno alle relazioni sociali, ma al contrario determinato da esse, a partire dall’eterosessualità vista come sistema sociale imposto. La messa a lavoro delle donne in quanto riproduttrici non è dunque semplicemente riferita al lavoro che le donne compiono nel riprodurre la vita sociale (lavoro domestico e di cura), ma è precedente, poiché si realizza attraverso l’addomesticazione della sessualità delle donne incanalata verso una modalità esclusivamente riproduttiva, a fronte di una sessualità umana di per sé polimorfa.

L’interesse per l’organizzazione sociale della sessualità, ovvero la sessualità vista dentro i rapporti sociali tra i sessi, è il ponte che tiene insieme l’analisi della riproduzione come lavoro e della sessualità come lavoro. Tabet infatti nota come la sessualità femminile sia “assoggettata al servizio sia della volontà di procreazione sia del piacere maschile”, creando due sessualità femminili, riproduttiva e non riproduttiva, in realtà complementari. La definizione di prostituta, come direbbe Gail Pheterson lo “stigma della puttana”, è applicata dunque a tutte quelle donne, in paesi e epoche diverse, che svelano le regole del gioco (senza dunque trasformarle), passando da oggetto dello scambio sessuo-economico, a soggetto di esso. Altri ponti collegano le diverse parti del libro, aiutandoci a comprendere come si produce la violenza maschile contro le donne, e quante forme possa assumere, da cui il titolo Le dita tagliate, un riferimento alla violenza materiale che le donne subiscono anche quando, pur conservando l’integrità del proprio corpo, non possono usarlo.

È possibile riconoscere punti di contatto tra alcuni aspetti del lavoro di Tabet e le analisi che, circa negli stessi anni, portavano avanti Leopoldina Fortunati e Silvia Federici, anche esse rimaste poco citate nei dibattiti italiani (così come Tabet, anche Federici viene pubblicata in italiano recentemente). La famiglia e la prostituzione sono considerate da queste autrici come due nuclei di relazioni in cui le donne producono lavoro sessuale, in quello che appunto Tabet definisce come il continuum di scambi sessuo-economici.

La pubblicazione de Le dita tagliate avviene in un momento di trasformazione all’interno dei dibattiti femministi italiani, e forse non è un caso che ad accogliere questo testo sia la collana Razzismo&Sessismo dell’Ediesse, che dà spazio a una produzione diversificata di approcci femministi ai temi del sessismo, del razzismo, della (post)colonialità, delle migrazioni e del lesbismo. Accanto alle produzioni vicine alla teoria della differenza sessuale, che per lungo tempo hanno predominato nel panorama italiano, oggi sembra esserci maggior spazio e visibilità per altre produzioni femministe, lesbiche, queer e trans sui rapporti tra i sessi e su come essi si producano dentro e attraverso le logiche del capitalismo neoliberista, del classismo e del razzismo.

Queste trasformazioni negli equilibri tra dibattiti femministi, non tanto nelle pratiche relazioni che sono sempre state più complesse di quanto il mercato editoriale potesse far emergere, hanno in parte contribuito a un’apertura verso la ricezione in Italia del lavoro di Tabet al di fuori di ristretti circuiti di antropologhe e femministe. Con le Le dita tagliate oggi è possibile avere una visione di insieme dell’analisi di Tabet sui rapporti sociali tra i sessi utile per comprendere lotte, resistenze e cambiamenti operati dalle donne, e le persistenti reazioni per riprodurre il dominio maschile.

(23 settembre 2014)

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